Sanam King?

di Luca Brancher

Reduce da tre settimane da protagonista, è giunta l’ora di fare luce sull’indiano Singh.

Fino a poco tempo fa sul circuito principale ATP bazzicava la scena un tennista californiano di origini orientali, Kevin Kim, classe 1978, semi-promessa a stelle e strisce a metà anni novanta, presto naufragato in un mare di relativa – si badi bene – mediocrità che non gli ha comunque vietato di assicurarsi una discretissima e per certi versi longeva carriera su buoni livelli. Kevin, oggi, non si è ancora arreso, come potrebbe sembrare a chi è abituato a rivolgere i propri occhi soltanto ai palcoscenici più prestigiosi, bensì persevera ed onora la sua professionalità, limitandosi al panorama challenger, dove prova, con scarso rendimento, a piazzare qua e là, prima in Ecuador, poi in Cina, per rimanere alla stretta attualità, qualche colpo gobbo. Più che un reale tentativo di resurrezione, appare invece come un lungo e triste commiato di chi fatica a fare i conti con l’inesorabile destino, con quell’età che avanza vera e propria spada di Damocle per chi fa dello sport la propria professione. Kevin, non contento del passato glorioso, girovaga per il mondo a caccia di qualche punto e per visionare, nel frattempo, tutti quei posti che altrimenti farebbe fatica a visitare: fino a quando, infatti, sei concentrato al 100% sulla pratica, tutto quello che ti gira attorno diventa secondario, ma, quando molli la presa, puoi iniziare a respirare l’aria del posto in cui trovi e guardare con occhi diversi il nuovo mondo che ti si presenta di fronte. Hai la possibilità, finalmente, di entrare davvero in contatto con culture differenti, una di quelle frasi spesso usate dai tennisti per descrivere le fortune di chi intraprende la professione, ma che viene sedotta e bidonata per dare la caccia ai giusti sogni di gloria. Valga lo stesso discorso per il novero dei giocatori affrontati: dopo quindici anni sul circuito, e centinaia di prosceni calcati, Kim potrebbe rappresentare un termometro per varie generazioni. Ha vissuto, in maniera parziale, l’epoca di Sampras e di Agassi (contro quest’ultimo ci ha pure giocato, e perso), mentre ha assaporato in pieno l’epopea Federer-Nadal (giocando, e chiaramente perdendo, con entrambi). E quanti altri “campioni” sono transitati lungo la linea di fondo del rettangolo opposto a quello di Kim, che nell’autunno del 2009 si lasciò andare, proprio su questa tematica, ad una dichiarazione piuttosto singolare.

E’ necessario prima definire la cornice in cui tale sentenza è stata emessa, perché oltre al tono con cui le cose vengono espresse, tante volte è molto importante rimarcare anche il contesto. In quell’anno, il 2009 per l’appunto, Kim era un giocatore molto temibile, soprattutto a livello challenger, tanto che, con l’intenzione di ottenere punti che gli consentissero di essere ammesso direttamente nel tabellone principale del’Australian Open dell’anno successivo, lo statunitense decise di prendere parte a quella serie di challenger che, tra ottobre e novembre, vengono organizzati in Nord America nelle strutture sportive universitarie: Louisville, Knoxville, Champaign-Urbana, Charlottesville. In quest’ultima città, sede di uno degli atenei pubblici più noti, la University of Virginia, Kim rivestiva il ruolo di secondo favorito della competizione, e dopo aver superato Wolmarans e Ramon Delgado, si sarebbe contrapposto a Sanam Krishan Singh, atleta indiano, entrato nel main draw grazie ad una wild card concessa dagli organizzatori in quanto studente del college ospitante.

India e Charlottesville: un connubio vincente, se si pensa ai tanti studenti provenienti dallo Stato asiatico che hanno aderito ai corsi di studio proposti dall’ateneo della Virginia, non ultimo quel Somdev Dev Varman, leggenda vivente del tennis NCAA: sotto l’egida di Somdev, Sanam, di tre anni più giovane, classe 1988, è cresciuto. L’incontro era una sorta di avvenimento per l’intera comunità, poiché in quei giorni erano diversi i compagni di studio che stavano facendo faville. Era quasi scontato attendersi un buon esito dalle vicende dell’ormai ex-alunno Dev Varman, molto meno da Dominic Inglot – il biondo inglese che interpretò le scene sportive di Paul Bettany nel film Wimbledon, ma questa è un’altra storia – e dal nostro Singh. Il britannico, dopo aver sorpreso due discreti battitori slavi come Bozoljac e Karanusic, non avrebbe posto molta resistenza di fronte all’ormai attempata promessa Donald Young, mentre Singh, dal canto suo, mantenne fede alle promesse di spettacolo, regalando tre set di rara intensità e spettacolarità a questi livelli. Pur non premiato dal risultato finale – 7-5 6-7 7-6 che avrebbe arriso al più attempato ed esperto Kim, poi vincitore del torneo – le sensazioni emanate dal suo tennis furono a tal punto positive, che Kevin, certamente benevolo nei confronti del deluso avversario per la grande chance sprecata, si lasciò scappare una frase che suonava più o meno così “Io non ricordo di aver visto in vita mia un tennista colpire così bene la palla”.

Nato l’11 gennaio del 1988 nel piccolo paradiso architettonico di Chandigarh, nord dell’India, Sanam Singh ebbe il primo sussulto da pro’ nel lontano 2005, a dicembre, quand’ancora 17enne centrò la vittoria nel future da 10.000$+H di Delhi; in cui era stato ammesso con una wild card, essendo all’epoca ancora sprovvisto di una classifica, dati i pochi tornei disputati in quello sparuto arco di tempo di cui era costituita la sua carriera. Sarebbe stato così a lungo, vuoi per un gioco non ancora altamente competitivo, vuoi soprattutto per quella scelta di cui la scena sopra descritta ne è stata una logica conseguenza: andare a studiare in America. Spinto in maniera particolare dalla madre, la signora Roopa, Sanam nel 2007 si è unito all’ateneo della Virginia, diventandone, stagione dopo stagione, un punto di forza, grazie alle migliorie tecnico-tattiche che Brian Boland, tecnico a capo della struttura maestri, ha saputo impartirgli. Non un caso, quindi, l’exploit sopra descritto, sebbene le doti principali Sanam le abbia rivelate nella disciplina del doppio, dove ha raggiunto la vetta della classifica collegiale americana e dove, saltuariamente, ha costituito un duo molto solido col già citato Somdev Dev Varman, assieme al quale si è laureato campione nell’edizione 2010 dei Giochi Asiatici (nella foto a sinistra) ed è stato autore di un paio di buone prestazioni nel torneo ATP di Chennai. In occasione di una di queste, per la precisione quella che ha condotto all’inattesa semifinale nell’anno di grazia 2010, fu lo stesso Dev Varman a offrirci un altro interessante spunto sul meno conosciuto connazionale “Giocare con Sanam è una bellissima esperienza, é un ragazzo che sprigiona energia da ogni poro e questo ti mette sempre in condizione di dare il tuo massimo.”

Proseguita e conclusa egregiamente la sua esperienza a stelle e strisce nella tarda primavera del 2011, Sanam si è buttato a capofitto nel mondo dei pro’ solo con l’arrivo dell’anno nuovo. Dopo il passaggio obbligato a Charlottesville, lo scorso autunno, ed una sconfitta in tre frazioni contro Bobby Reynolds, l’indiano ha rotto gli indugi: è ripartito da Chennai,  dove ha lottato contro Lajovic, giungendo molto vicino alla vittoria nel primo turno di qualificazione, che sul più bello gli è però sfuggita. Nessuna paura: il nostro eroe è volato in Turchia per giocare un trittico di tornei futures a Belek, piccolo centro non distante da Adalia o Antalya, curiosa città incastrata tra il Mar Mediterraneo ed i monti del Tauro Occidentale e posizionata su una scogliera ripida. Ripida, almeno in queste prime battute, non fu l’ascesa del nostro Sanam, che dopo una beneaugurante semifinale all’esordio si è ritrovato spiazzato e battuto al primo turno nelle due successive competizioni. Un po’ di rammarico per l’occasione sciupata era quanto mai comprensibile, ma Singh, tuttavia, ha fatto prezioso ricordo di quanto accadutogli in terra turca quando ha affrontato un nuovo impegno, sempre della durata di tre settimane, questa a casa. E non per modo di dire: la prima delle tre competizioni, infatti, si è svolta nella sua città, Chandigarh, che si è rivelata il teatro della sua seconda vittoria in carriera a livello ITF. Nuovamente in cima al podio, ad oltre 6 anni di distanza. Il pubblico amico fu decisamente uno stimolo in più per Sanam, capace di regalarsi un successo senza cedere alcuna frazione – ma era stato così anche nella precedente occasione.

Non contento di quanto fatto, il 24enne indiano, la sera stessa della sua vittoria, invece di rimanere in città e lasciarsi andare ai comprensibili bagordi, ha preso armi e bagagli ed è sceso verso il centro dell’India, a Bhopal, la città dei 7 laghi, in cui, nel giro di 6 giorni, si è concesso il bis, rischiando un po’ solo nel secondo turno, dove ha ceduto il primo parziale della sua perfetta sessione indiana. Soddisfatto? Macchè, altro viaggio, questo volta in direzione sud-orientale, verso Bhimavaram, sul Golfo del Bengala, per chiudere in maniera trionfale questi venti giorni dal sapore epico. Non lasciandosi mancare nulla: dal doppio 6-0 con cui ha esordito al primo turno contro il connazionale Akash Wagh fino alla vittoria in rimonta nell’atto concluso su un altro indiano tennisticamente cresciuto negli Stati Uniti, ma in Alabama, Saketh Myneni. Non è una prima volta assoluta, vedere un giocatore conquistare tre tornei in tre settimane consecutive, nelle ultime stagioni si sono verificati ristretti casi di tennisti capaci di tanto, ma va ricordato che nulla deve essere tolto alle qualità del giocatore di Chandigarh e a quelle di chiunque sia stato in grado di precederlo.

Certo, se poi consideriamo che alla prova successiva, un ITF negli Emirati Arabi Uniti, il nostro ha alzato bandiera bianca al cospetto dell’irlandese Sam Barry – e di conseguenza la sua striscia di successi si è fermata a quota 15 – le differenti prestazioni che lo stesso riesce a fornire tra suolo natio e resto del mondo fornirebbero motivi per restare un tantino basiti, ma vogliamo imputare quest’ultima battuta d’arresto alla stanchezza accumulata nelle tante partite fino ad ora disputate. Le prossime settimane ci sveleranno se Sanan Krishan Singh è soltanto un bluff assurto alle cronache, almeno le mie, per una serie di coincidenze o se invece ha la stoffa per diventare un giocatore con un discreto futuro. Magari alla stregua di Kevin Kim, per intenderci, che in fondo non è poi emerso così giovane – ricordiamo che il protagonista di quest’articolo ha comunque già compiuto 24 anni – ma ha saputo restare in auge per diverso tempo. E in un certo senso se lo augurerà, se ha buona memoria, lo stesso statunitense: perché di quella sentenza, ad oltre due anni di distanza, non ci siamo assolutamente dimenticati.

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