Diario di Bordo – La Grande Sfida, Milano, 18 Ottobre 2014

Ivanisevic

di Luca Brancher

Con sommo gaudio, circa un mese fa, il “boss” di SpazioTennis, che evito di nominare perché avete capito tutti a chi mi sto riferendo, mi aveva paventato la possibilità, essendo io uno dei più papabili sulla piazza meneghina, di prendere parte, in veste di “giornalista” – e qui le virgolette ci stanno tutte, dal momento che io non ho i gradi per fregiarmi di far parte della categoria – alla manifestazione che porta il ricorrente nome di “La Grande Sfida”, che per la prima volta ha spostato il suo mirino dal tennis femminile a quello maschile. E non un tennis maschile qualsiasi, bensì quello del passato, dei grandi campioni, dei giocatori con cui, volente o nolente, sono cresciuto. Sono sempre stato piuttosto restio ad assistere ad avvenimenti che vedono in campo tennisti ritirati, chi da più chi da meno tempo, ma l’occasione di poter valutare dal vivo quattro giocatori del calibro di McEnroe, Ivanisevic, Lendl e Chang ha vinto ogni mio dubbio. E poi sarebbe stata la prima volta in cui avrei potuto esibire un accredito stampa, una sorta di tabù che avrei potuto abbattere.

Solo che da “grande potere deriva una grande responsabilità”, per cui ben sapevo che questo pass avrebbe dovuto garantire una certa copertura dell’intero evento: non con grandissimo favore ho appurato, il giorno prima, guarda caso venerdì 17 – meglio soprassedere – che il mio modem, compagno fedele di vita negli ultimi quattro anni e mezzo, aveva deciso di lasciarci le penne, facendo fondere in maniera alquanto drastica il cavo dell’alimentazione – il tutto mentre mi veniva negata la possibilità di guardare, su Cult, per la 200esima volta, The Social Network. Non comprendo subito la natura del problema, tendo a credere sia temporanea, ma quando stamane, al momento della sveglia, vedo il display non dare segni di vita, decido di passare alle maniere forti e, dopo un breve consulto telefonico, viene sancita la possibilità della sostituzione. Cominciano le due ore più dure della mia vita recente, tra Viale Monza e Piazza Cordusio, all’apparentemente vana ricerca di un modem sostitutivo, che si palesa tra le mie mani quando ormai sembra troppo tardi. Già, perché il tutto era stato fatto per poter essere abile di redigere un articolo nella serata post-evento, ma se a questo evento faccio tardi, che senso avrebbe?

In qualche modo ce la faccio, ma appena arrivo al Forum sito in Assago pago la mia inesperienza in questi frangenti, che mi porta a chiedere informazioni su dove potrei ricevere questo benedetto accredito: una volta imbeccato correttamente, faccio l’amara scoperta che la fila per avere il pass è piuttosto lunga – infatti gli stessi non vengono solo consegnati, ma proprio creati ex tempore… Ottenuto il beneamato “guinzaglio” mi dirigo verso la struttura, chiedendo ad ogni persona dell’organizzazione che incrocio se procedessi correttamente. Incassando continuamente assensi, o perlopiù disinteresse, finisco, in maniera naturale, quasi dentro il campo, dove ho la fortuna di entrare a contatto con vari personaggi, tra cui Nargiso che cerca di intervistare Goran Ivanisevic, vero favorito della manifestazione, ma continuamente interrotto dalle persone che cercano di fare una fotografia con lui, oppure un abbronzatissimo Umberto Smaila braccato da Christian Sonzogni per un breve scambio di vedute – Smaila, peraltro, si era presentato all’avvenimento con una fotografia che lo ritrae mentre suonava con Mac, foto che viene immortalata dallo stesso Sonzogni e che successivamente avrà modo di mostrarmela.

Campo a mezzora dall'inizioContinuo a gironzolare a bordo campo, in cerca di facce amiche, ma soprattutto di capire se arriverà qualcuno ad intimarmi di andarmene – ma la persona più inquietante che incrocio è la mascotte della Ricola, uno degli sponsor della manifestazione – quando scorgo finalmente Matteo “Grigo” Grigatti e Matteo Veneri di Youtennis, mentre procedevano per un sopralluogo pre-diretta. Scambiamo due chiacchiere, in maniera particolare sul futuro di quello che è stato il gioco dell’anno 2014, ovvero il “C’avevo visto lungo”, manifestazione ideata dallo stesso Grigo e a cui ogni appassionato di tennis non dovrebbe sottrarsi. Non possono mancare le derisioni per le mie scelte Harrison e Stebe, ma loro sono al lavoro per cui scappano via quando scoprono che mancano pochi minuti all’inizio della loro diretta, mentre io finalmente vengo dirottato nella tribuna stampa, dove mi siedo ed attendo l’arrivo dei giocatori. Giungono però comunicazioni concernenti il fatto che la gente deve ancora confluire all’interno del palazzetto, per cui l’inizio viene procrastinato ed io faccio una terribile scoperta: con tutto quel correre, mi è venuta una sete non indifferente. Allora riemergo e cerco un bar, scopro la cervellotica scelta di fare una cassa unica per più punti vendita, ma entro in possesso di una bottiglietta d’acqua frizzante. Rientrando mi imbatto in Marco Caldara, con cui mi soffermo a parlare di Tpra (movimento tennistico di forte caratterizzazione lombarda, ormai in seno FIT, a livello dilettantistico). Veniamo raggiunti dal Sonzogni di cui sopra, mentre, finalmente, scendono in campo i giocatori.

L’entrata è in pompa magna, tutti i giudici – a proposito, quanti erano? Il cambio dopo soli tre giochi non si era mai visto – ed i raccattapalle sono schierati, ogni tennista viene preceduto da un ragazzo che porta l’effige della bandiera della nazione di appartenenza, i sempiterni Pietrangeli e Pericoli vengono presentati dall’ottimo maestro di cerimonie e, in breve tempo, in campo ci sono già Michael Chang e John McEnroe che stanno affinando il loro riscaldamento. Il pubblico, come è facile da immaginare, è tutto col vecchio Mac – lo stesso Caldara mi confiderà che nel pre-match, quando i quattro campioni avrebbero dovuto palleggiare con alcuni giocatori amatoriali, questi ultimi avevano in gran parte esposto la propria preferenza nell’avere John come sparring partner – che, ben conscio di essere amato sia per la sua tecnica sopraffina, ma anche per il suo comportamento da istrione, non si farà mancare alcuni suoi show, sebbene la partita non dia mai la possibilità di grandi teatrini. Già, perché dall’altra parte della rete c’è un Michael Chang molto giù di tono, che inesorabilmente paga, con l’età, la perdita di quelle caratteristiche che lo aveva fatto grande da giovane. Poco conta che sia, dei quattro, il meno anziano, anche perché il viso pare celare qualcosa in più dei 42 anni che la carta d’identità dell’ex-ragazzino prodigio di Hoboken reclama. Inizialmente Mac fatica, scentra molto col dritto ed è il primo ad arrancare, quando, sotto 2-3, si trova a fronteggiare ben 5 palle break, ma scampato questo pericolo, la strada si rivelerà in discesa. L’ultimo punto, una versione aggiornata del gatto col topo, ha visto Chang costretto a fare il tergicristallo, prima di scaraventare il rovescio in rete e la sua racchetta per aria.

John esulta, ed il pubblico è con lui, nonostante quel completino ricordi un pigiama e nonostante il tempo inesorabilmente passi anche per lui. Ma quando lo vedi approcciare la rete, quando lo vedi toccare la palla, beh, sarà banale, ma il tempo pare davvero divenire una dimensione superflua da considerare. Nel frattempo i miei ben più blasonati colleghi di giornata mi abbandonano per recarsi in “sala stampa” – io mi chiamo fuori, non mi sento degno e non vorrei rubare posti – ma non posso scordare che, al termine della prima frazione, si era aggiunto al gruppo anche l’ottimo Riccardo Bisti. Nonostante la faida nata sul campo di calcio – lui tifa Toro, io Parma – mi lancia l’invito di raggiungerlo a Brescia in occasione del prossimo challenger – “Lì non puoi proprio mancare” – ma io ribatto che la mia presenza sarà legata all’iscrizione o meno dello slovacco Norbert Gombos, uno dei nuovi pallini “E se non si iscrive, riservategli una wild card”. In attesa della discesa in campo di Ivan Lendl e Goran Ivanisevic, trovo l’occasione per andare a trovare un amico, con cui scambio due chiacchiere di stretta attualità – in particolare lo scottante caso scommesse – ma le procedure sul campo si sono estremamente velocizzante e Goran e Ivan sono già lì, a provare i servizi. I primi giochi volano piuttosto veloci, complice l’ottima prova in battuta dei due, in particolare Goran, che riesce a variare e a trovare angoli con grandissima semplicità, anche se, certo, la palla non viaggia come un tempo, ma arrivarci rimane complicato.

McenroeFaccio ritorno al mio posto sul 3-3, ma sopraggiunge Bisti e mi dice che in press room è arrivato John McEnroe. Non me lo voglio perdere e lo seguo. John, quando entro, ha già cominciato a parlare, risponde ad una bizzarra domanda che verte sulla strana sensazione che può aver provato a vedere Lendl prima come avversario in Davis e poi come compagno – legata al fatto che Ivan oggi è sceso in campo con la bandiera americana – ed una più sentita sulla sua rivalità con Connors “Con Borg e Lendl sono diventato amico, con lui no, non sarà mai uno con cui andrò a cena, siamo stati due belle teste calde, in campo, ma abbiamo contribuito vicendevolmente a migliorarci e abbiamo permesso l’un l’altro di spingerci oltre. Ed insieme siamo una bella parte di questo sport”. E’ molto misurato, spesso a braccia conserte, risponde sempre in maniera esaustiva, i 55 anni compiuti quest’anno si vedono anche in questi frangenti. Concede poi una veloce intervista a Vincenzo Martucci per La Gazzetta dello Sport, che è un altro dei main sponsor dell’evento, ma è subito l’ora di Michael Chang. Molti abbandonano – inutile girarci attorno, Mac è la prima donna di tutta la giornata – mi fa tenerezza e quindi decido di rimanere. Tra domande più o meno centrate – quella sulla storia della banana, da “segreto” della vittoria parigina a simbolo della battaglia al razzismo dopo l’affaire Dani Alves un po’ mi ha turbato, ma stesso effetto ha prodotto su Chang – ne esce un profilo di un Michael che oltre al tennis si sta godendo una vita famigliare arrivata un po’ tardi rispetto a quello che è lo standard dei suoi colleghi – si è sposato solo nel 2008, ed ha due figlie molto piccole – e che ha accettato con grande serenità il fatto di essere ricordato solo per il titolo vinto da giovanissimo – “Avrei potuto vincere di più? Chissà, ma quello è stato, inutile pensare a cosa sarebbe potuto cambiare, perché quello è”. Riemergo dalla sala stampa, e, con terrore, scorgo che Ivanisevic è prossimo a servire per il match sul punteggio di 6-4 5-4. Mi domando quanto tempo sia passato, ma fatico a comprendere come sia stato possibile che la partita sia volata via così. Noto, però, che al cambio campo Goran rientra 30 secondi prima del celeberrimo “Time” dell’arbitro e calcolo che non passano molto più dei 47 secondi con cui Federer ha chiuso un gioco con Djokovic nella semifinale di Shanghai prima della fine della contesa: capisco quindi cosa può essere accaduto.

Ivanisevic si toglie così la soddisfazione di vincere questo quadrangolare disputatosi tra Genova e Milano (ma, di dubbi, ce n’erano pochi), Milano ha risposto presente – sala molto gremita – manifestando nuovamente la fame di tennis, e di sport in generale, di cui una grande città può essere afflitta, soprattutto in questi ultimi anni in cui il grande appuntamento è venuto a mancare. Non resta che assistere alla premiazione, affidata a Lea Pericoli, che scambia qualche veloce convenevole coi quattro protagonisti – in particolare con Lendl, molto legato a Milano, che ricorda ancora come al Bonfiglio giocò il primo match ai 5 set, in finale, contro Franco Merlone – e la cosa che maggiormente mi colpisce, tra le altre, e vedere Ivanisevic così rilassato, così tranquillo, tutte doti che non gli erano proprie quando si dimenava sul campo da pro. Sì, d’accordo, si sta parlando di esibizioni, però quel suo essere sempre insofferente, a tratti frustrato sembrava così profondo, che andava ben al di là di una semplice partita di tennis. Ora pare un’altra persona, diversa. E’ completamente cambiato, e se è cambiato lui, puoi farlo anche tu.

Il sipario cala, la metropolitana, e le sue 16 fermate che mi separano da casa, mi attende. E tempo di rientrare. Scappo dal forum e con me una fiumana di persone che parla dell’avvenimento. Tutti che parlano di tennis. Un bel modo per tornare a casa, nonostante io debba chiudere “Pastorale Americana” di Roth: Milano ha bisogno di tennis, il tennis non ha forse bisogno di Milano?

Puffi

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