Diario di Bordo dal Roland Garros 2016: 2° giorno di quali

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Di Stefano Berlincioni

La seconda giornata al Roland Garros inizia in chiaroscuro: come previsto il pubblico è più che dimezzato rispetto al giorno precedente e quindi l’accesso ai campi sarà più facile ma come non previsto, proprio oggi che ho deciso di portare solo l’obiettivo più grande della macchina fotografica mi imbatto in una solerte addetta al controllo zaini che mi fa notare come il mio obiettivo 70-330 mm sia fuori dalla lunghezza ammessa (200 mm). Provo a ripeterle che sia l’anno scorso che ieri non mi hanno fatto problemi ma al ritmo di “Non è una regola che ho messo io ma devo solo applicarla” mi sfinisce e lo lascio catalogato tra gli oggetti “sequestrati” che verranno resi a fine giornata. Con mio grosso disappunto noterò per tutto il corso della giornata appassionati senza accredito da fotografi con obiettivi anche più grandi del mio e rosicherò bellamente.

Messo il cuore in pace per l’obiettivo mi dirigo sul campo di Matteo Donati e mi siedo nelle vicinanze del suo allenatore Massimo Puci che gentilmente mi invita a seguire il match accanto a lui e a fare quattro chiacchiere che spazieranno dai bugdet di spesa a cui devono stare attenti sia i giornalisti che i giocatori ed il loro team a lle questioni più meramente tecniche.

Matteo parte un po’ contratto come è naturale che sia vista la differenza di esperienza a livello Slam che paga nei confronti dell’inglese Ward ma dopo i primi giochi piuttosto equilibrati finalmente Matteo si sblocca, seguendo alla lettera le due indicazioni principali continuamente ripetute da Puci: far muovere Ward che negli spostamenti sia laterali che in avanti fa molta fatica, e giocare un tennis aggressivo, non permettendo all’inglese di assumere l’iniziativa. Atteggiamento e body language molto positivo in campo da parte di Donati per tutto il match, cosa piuttosto sorprendente per un giocatore che per una serie di piccoli infortuni ha giocato (e vinto) pochi match nel 2016 ma che rimane indubbiamente una delle grandi speranze (se non LA grande speranza) del tennis italiano nei prossimi 10 anni. Puci mi ribadisce che gli infortuni non devono essere un problema mentale per un ragazzo poco più che ventenne che ha davanti ancora una dozzina abbondante di tennis ad alto livello e che quindi non può e non deve innervosirsi per essere costretto qualche settimana ai box. Oggi Matteo ha messo in luce oltre ad un tennis molto aggressivo anche qualche pregevole palla corta ed anche una serie di ottime risposte su prime violente di Ward: sicuramente un bell’esordio in vista del complicatissimo match di secondo turno contro Ymer, capace di qualificarsi in tutti e 4 gli Slam nel 2015.

 

Mi sposto quindi sul match di Luca Vanni, autore l’anno scorso di una grande cavalcata fino al Main Draw ma che è un giocatore in crisi di risultati e di fiducia: appena arrivo l’allievo di Gorietti fa suo il secondo set contro Gimeno Traver ed inizio a sperare che l’atmosfera di Parigi possa ridarci il vanni ammirato nel 2015.

 

Purtroppo Luca va subito sotto 3-0, riesce a rimontare ma sul 4-3 Gimeno con Vanni al servizio tornano fuori i fantasmi di questo anno, il braccio che non riesce a tirare a tutta nei momenti decisivi perché come vincere aiuta a vincere sicuramente anche perdere aiuta a perdere e allora anche per oggi si chiude una partita in cui è mancato quel pizzico di “cattiveria” e di fiducia in più che proprio l’anno scorso qua nei tre match che vidi dagli spalti gli fecero vincere tre match molto equilibrati.


A tratti sono riuscito a seguire anche il match di Federico Gaio contro Ignatik, un match ben giocato dall’azzurro che però ha rischiato di mandare all’ortiche: servito per il match nel secondo set e sprecato un vantaggio di 4-1 nel terzo e decisivo set si è trovato a dover annullare (con autorità) due palle break sul 5-5 e sull’8-7 in suo favore prima ha vinto sul punteggio di parità uno scambio pazzesco dove entrambi hanno giocato ad un livello elevatissimo e poi sul match point ha beffato Ignatik con uno stupendo lob di rovescio.
 

 

Dato un breve sguardo al match (di bassa qualità) tra la giapponese Kato e l’americana Anderson dall’ottimo passato universitario la cui unica nota di “folklore” è una sorta di balletto improvvisato (per testare le condizioni della gamba) dalla Kato e la fisioterapista durante un medical time-out e che si chiuderà con la vittoria della giapponese che in precedenza aveva mancato tre match point consecutivi e ne aveva annullati uno.

 

 

Sul campo adiacente il turco Ilhan non senza sofferenze e ben sei match point sprecati strappa il biglietto per il secondo turno ma per me il match è l’occasione per conoscere finalmente Mert Ertunga, con cui ho scambiato più volte dei tweet e che non vedevo l’ora di conoscere di persona. Ex numero uno turco a fine anni ’90 e un best ranking di 826 nel 1986, decise di studiare negli Stati Uniti visto che aveva capito che non sarebbe riuscito a procurarsi da vivere come tennista professionista: su consiglio dei genitori optò per la Business Administration (University of Alabama a Birmingham) ma non riuscendo ad immaginarsi in giacca e cravatta ed approfittando del posto da coach della squadra femminile lasciato vacante si tuffò in questa avventura (sempre a UAB) con un successo mai avuto prima dal team che arrivò a traguardi impensabili fino a prima del suo arrivo come l’arrivo nel ranking NCAA. A lui piace ricordare di aver formato delle donne e non solo delle giocatrici, perché stare a strettissimo contatto per 4 anni con ragazze dai loro 18-19 ai 22-23 inevitabilmente porta ad incidere enormemente sulle loro vite. Dopo la carriera da coach Mert ha potuto dedicarsi alla sua grande passione, le lingue, ed ora insegna francese all’Università di Pittsburgh oltre che scrivere di tennis per alcuni magazine. E’ stato molto carino nell’introdurmi anche a Cagla (che ho scoperto pronunciarsi Ciala) Buyukakcay e al suo coach, prima di andare a vedere insieme il match dell’altro turca, Ipek Solyu. La Solyu è forse più talentuosa di Cagla ma, a differenza della recente vincitrice del WTA di Istanbul, che è una grandissima lavoratrice, mentalmente molto forte e proiettata al 100% sulla carriera tennistica, ha ancora notevoli alti e bassi all’interno dei match.

Tralasciando il pranzo ad orario improponibile (anche oggi baguette esaurite e mi sono dovuto buttare sull’hamburger, il peggiore mai mangiato in vita mia, crudo e freddo nonostante 10 minuti di attesa) e dopo aver colto giusto i match point di Haddad Maia


e della giovane francese Fiona Ferro
 

 
mi gusto un match di altissimo livello tra la Cepelova e la Zhu, sicuramente il migliore di giornata in campo femminile.
Faccio un salto sul Suzanne Lenglen dove si sta allenando Simona Halep

e la mia connessione dati decide di morire improvvisamente: fatte tutte le verifiche del caso di opzioni attive e non attive mi trovo incredulo davanti al cellulare, come se non bastasse il fatto di non avere l’obiettivo della mia reflex (rientrato in appartamento capirò che il mio provider, TIM, ha grossi problemi sui server esteri e non riescono a risolverli).

Un breve cenno su alcune ragazze americane, con la Oudin di cui non ho visto uno scambio ma che ho incontrato sui vialetti post-match circondata dal proprio team con tutti che lodavano la prestazione a loro dire superba di Melanie, la Brady che mi ha fatto una buonissima impressione grazie al suo servizio potente e ai comodini che riusciva a tirare da fondocampo e per ultima la Ahn (anche lei come la Anderson citata prima reduce da un’ottima carriera universitaria) che ad inizio match pareva in pessime condizioni e la cui palla viaggiava pochissimo, lasciata su 1-6 e ritrovata al terzo sempre in spinta alla ricerca del vincente.

Ultimo match a cui decido di assistere è quello tra Romina Oprandi (che sicuramente è lontano anni luce come abbigliamento dalle teenager del circuito)

 

 

e la Cepede Royg che l’anno scorso si qualificò giocando un gran tennis, mostrandosi un muro invalicabile per le avversarie: match equilibrato con le solite palle corte chirurgiche della svizzera alternate ad errori banali, mentre la paraguaiana è apparsa molto più fallosa del solito.

E’ ora di salutare i campi, richiedere il mio obiettivo (domani proverò ad entrare da un altro gate sperando di trovare un’addetta meno severa e portandomi comunque anche l’altro obiettivo ”conforme” di scorta) ed incamminarmi verso l’appartamento, non prima di una veloce pizza sotto quella che per questa settimana è la mia “casa”.

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