Nick Kyrgios, la lunga scalata verso l’Olimpo

Nick Kyrgios

di Michele Alinovi

“Credo che oggi abbiamo trovato la nuova stella del tennis maschile. L’ultimo ragazzo che ho visto giocare in quel modo, senza paura e determinato a vincere Wimbledon, è stato Boris Becker”

Suona quasi come una profezia ciò che che John McEnroe ha detto ieri sera, al termine della vittoria di Nick Kyrgios, n. 144 del mondo, sul primatista mondiale Rafael Nadal.

Certo, in questi momenti è facile lasciarsi prendere dall’esaltazione del momento, e SuperMac è solito alle dichiarazioni ardite. Ma, in fondo, è stato quello che abbiamo provato tutti, vedendo quel ragazzino abbattere a suon di ace (37) e vincenti forse il più grande tennista della storia, non cedendo mai di una virgola, mentalmente e fisicamente, per tutte le quasi tre ore di gioco. Il suo sguardo ardente, il suo atteggiamento “fearless” da teenager che vuole spaccare tutto, ci suscitano ricordi non lontani: troviamo in lui quella stessa tracotanza che avevamo percepito nel 2005 nell’allora diciannovenne Rafael Nadal quando, come novello Prometeo asceso sulla cima dell’Olimpo, aveva sconfitto il n.1 del mondo Roger Federer nella semifinale del suo primo dei nove Roland Garros sinora conquistati. Se è vero che per riconoscere i momenti storici quando accadono è inevitabile affidarsi all’intuito, allora possiamo ammettere che il match di ieri, 1° luglio 2014, ha segnato l’ascesa di un futuro dominatore del tennis maschile.

Nick Kyrgios, classe 1995, assieme a Thanasi Kokkinakis, è considerato da tempo come colui che potrebbe ricondurre il tennis australiano agli antichi splendori, che dai tempi di Rafter e Hewitt aspetta invano il nuovo Messia. In questi due ragazzini si erano riversate tutte le speranze del loro Paese, dopo la mezza delusione rappresentata da Bernard Tomic. Anche il giovane Bernard tre anni fa, a 19 anni (la stessa età di Kyrgios) aveva raggiunto i quarti di finale a Wimbledon, battendo a sorpresa Davydenko, Soderling e Malisse e diventando il quarto tennista più giovane ad aver raggiunto questo traguardo, dietro solo a Boris Becker, Bjorn Borg e John McEnroe. Pure allora i senatori Aussie Rod Laver, Ken Rosewall e John Newcombe non avevano risparmiato elogi per quella nuova promessa che, a distanza di tre anni esatti, si può definire non mantenuta.

Eppure, Nick sembra avere un temperamento ben più maturo e determinato dello scapestrato Bernard, che ultimamente ha fatto più notizia per le feste notturne e le multe per eccesso di velocità. Kyrgios, nelle sue interviste, si è dimostrato molto umile e al contempo straordinariamente determinato: “Questa è forse la giornata più bella della mia vita – aveva dichiarato visibilmente commosso all’indomani della sua prima vittoria in uno slam, quando al Roland Garros dello scorso anno aveva sconfitto a sorpresa Radek Stepanek; e poi aveva aggiunto, senza falsa modestia: “il mio obiettivo è diventare n. 1 del mondo”. Chi lo conosce dice che ha una disciplina ferrea e si allena ore e ore al giorno senza mai risparmiarsi.

Inoltre, Nick non ha dietro l’ombra del padre ingombrante padrone che probabilmente ha contribuito a rovinare la carriera di Tomic; Kyrgios, esempio di melting-pot australiano – padre greco e madre malese – hanno semplicemente assecondato le sue aspirazioni quando, sui sette anni, il figlio aveva deciso di praticare il tennis e il basket. I genitori lo hanno sempre sostenuto senza mai mettergli alcuna pressione né fomentando inutili manie di grandezza. Tanto che mamma Norlaila, programmatrice di computer, alla vigilia dello scontro con il maiorchino aveva candidamente dichiarato: “Nadal è troppo forte per mio figlio, dubito che ce la farà”.

E invece – ancora, a differenza di Bernard Tomic – Kyrgios ha battuto Rafael Nadal, due volte vincitore di Wimbledon, superandolo in un match ad armi pari e risultando semplicemente più forte sul campo. Perché è vero che è da alcuni anni lo spagnolo fatica moltissimo sui campi erbivori; ma l’uscita al secondo turno contro Lukas Rosol, nel 2012, e all’esordio Steve Darcis, l’anno scorso, non erano più che sfortunati incidenti di percorso che, in un certo senso, potevano essere giustificati. All’indomani del match contro il ceco Nadal non avrebbe più giocato per otto mesi a causa della sindrome di Hoffa; nel 2013, dopo la straordinaria serie di successi sulla terra post-rientro, un seppur notevole cedimento ci poteva stare. Questa volta era diverso: dopo un inizio stagione un po’ tormentato, Rafael aveva conquistato il suo ennesimo Roland Garros e nel pensiero di molti era destinato a ingranare sulla scia del momento e, superati i primi scogli, a ritornare a ottenere un buon risultato a Wimbledon. Magari una semifinale o una finale, dove poi se la sarebbe giocata con Federer, Murray o Djokovic. Ma poi è arrivato il giovane Kyrgios, che pochi settimane prima aveva conquistato il challenger erbivoro di Nottingham-2, sovrastando in due set il ‘guru dei servizi’ Samuel Groth; e che, pochi giorni prima, aveva battuto Richard Gasquet, annullando ben 9 match-point. E che, con una leggerezza sbalorditiva, ha infine deciso di sbarrargli la strada agli ottavi in quattro set senza soffrire neppure tanto.

E’ azzardato parlare di passaggio di consegne, ma in lui è ormai inevitabile riconoscere i tratti del predestinato. Gli stessi di Nadal al Roland Garros 2005, quelli che abbiamo riconosciuto in Roger Federer quando nel 2001, su quello stesso Centre Court di Wimbledon, aveva sconfitto Pete Sampras in cinque set, interrompendo una striscia di 31 vittorie consecutive sull’erba londinese e sancendo la fine del suo regno.

Kyrgios nel match di ieri ha dimostrato di avere una tenuta mentale superiore ad ogni aspettativa. Ogni volta che, seduti sul divano di casa, sussurravamo “bravo, ma tra poco crolla”, lui era sempre lì pronto a smentirci. Lo ha fatto nel tie-break del primo set, quando Nadal da 0-4 aveva messo in fila tre punti consecutivi. La risposta dell’australiano? Ace e due vincenti che hanno messo in ginocchio uno spagnolo sempre più affannato. Quello che credevamo fosse il vero momento di svolta è avvenuto nel secondo set, quando sul 6-5 per Rafa, Kyrgios aveva commesso un paio di errori evitabilissimi e sconsiderati, consegnando il parziale all’avversario. Chi, in quell’istante, non ha pensato che ormai la partita si sarebbe consumata in fretta in favore del maiorchino? Che Kyrgios aveva dimostrato di essere fortissimo, che “il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette” e che sicuramente farà il colpaccio ma non ora, non qui a Wimbledon contro Rafael. Invece, con la sua esuberanza da spaccone tipica di chi non cova mai nessun rimpianto, è ripartito da dove aveva iniziato, chiudendo il terzo set al tie-break e bombardando un Nadal sempre più inerme e stanco nel parziale conclusivo. Al match-point, svanito ogni dubbio, abbiamo gridato alla nascita di una nuova stella.

Per il kid australiano oggi c’è un’altra sfida, se possibile ancor più dura; il quarto di finale contro il canadese Milos Raonic – lo aveva sconfitto al primo turno dello scorso Roland Garros – non può di certo essere definita una prova del nove. Anche Milos, quattro anni più grande, è in cerca dell’ottimo risultato nello Slam e una sua vittoria non desterebbe scalpore. Più che per le sue qualità estetiche, la sfida tra i picchiatori Raonic e Kyrgios sarà interessante per assistere allo scontro tra due futuri top-player. Chi, come me, crede nella favola dell’australiano si augurerà che la sua saldezza psicologica non vacilli per lo scoppio di celebrità di cui è stato protagonista nelle ultime ore. Sarà curioso, e insieme elettrizzante, scoprire se questo aspirante Prometeo riuscirà a superare l’ennesima prova nella lunga scalata verso l’Olimpo.

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