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Oliver Golding interno

di Luca Brancher

Non è passato molto tempo, nemmeno quattro mesi, da quando Tiago Fernandes, campione all’Australian Open junior del 2010, rivelò al mondo intero, via stampa, che il suo tempo sul circuito mondiale era mestamente giunto a conclusione, vinto dalla pressione mal gestita che mai gli aveva nemmeno lontanamente permesso di esprimere il potenziale manifestatosi negli anni in cui militava nelle categorie giovanili. Ed oggi vi raccontiamo una storia per certi versi simile, perlomeno nelle conclusioni, per quanto Oliver Golding, che fu campione tre anni fa allo U.S. Open degli under 18, ci lasci in eredità maggiori dettagli, che ci permettono di valutare in maniera più precisa la situazione del tennis oltremanica. Un piccolo preambolo lo avemmo esattamente una settimana fa, con questo messaggio rilasciato via Twitter

(trad. Il tennis è uno sport duro. I giocatori hanno bisogno di tutto l’aiuto e del supporto possibile. I soldi sono un fattore in più che abbiamo rispetto ad altri Paesi, usiamoli!)

L’uscita era legata alla pubblicazione, da parte della LTA, che da qualche mese non ha più come capo Roger Draper, bensì Michael Downey, delle norme che d’ora in poi regoleranno i rapporti tra la federazione ed i tennisti stessi. E chiaramente, come si evince, non sono a vantaggio di questi ultimi, che, se non rispetteranno determinati parametri, non verranno più finanziati attivamente come accaduto finora, anzi, gli stessi fondi non saranno più usufruibili per quei giocatori che preferiranno allenarsi all’estero, per non parlare di quelli che, superata una certa età, non riusciranno a mantenere taluni parametri di classifica. Decisioni molto forti, frutto della collaborazione tra la federazione stessa e Bob Brett, che sta cercando di creare un forte tessuto di accademie e allenatori in loco, motivo per cui sarà preferito investire tutti i derivati di Wimbledon in strutture interne. Certo, stride un pochino col concetto, fino a poco tempo fa sbandierato dagli stessi vertici, che voleva Andy Murray diventato un grande giocatore perché da piccolo recatosi alla Sanchez-Casal Academy, ma tant’è…

E che cosa c’entra Golding in tutto questo? E’ semplicemente la classica punta dell’iceberg, perché, oltre ad Oliver, in queste ultime settimane, sono ben cinque i tennisti, attorno ai venti anni, che hanno deciso di darci un taglio con l’attività professionistica. C’è George Morgan, vincitore di un titolo in Svezia tre anni fa, Jack Carpenter, a segno in Bulgaria quest’anno, ma sempre alle prese con difficoltà fisiche, Ashley Hewitt, due titoli in bacheca ed una volontà di vivere a Bolton, così lontano dal grande tennis, e il più giovane Harry Meehan, grande bombardiere, che ha ammesso di non farcela più a reggere mentalmente lo stress di una partita. Senza dimenticare che nel corso dell’anno ha salutato la compagnia George Coupland. Che cosa sta accadendo? Il neo-presidente Downey non ha voluto tergiversare dicendo, in maniera velata, che sono tutti ragazzi che non hanno creduto a sufficienza nelle proprie qualità, o non si sono impegnati a sufficienza per emergere. E Golding non ha lasciato correre, concedendosi ad una dettagliata intervista col Telegraph nelle scorse ore, in cui non ha lesinato di spiegare il suo punto di vista, condiviso in parte anche dai tanti colleghi. “Il non aver avuto molti giocatori di un certo livello sta creando una sorta di spasmodica attesa nei confronti dei giovani che si affacciano sul circuito con qualche speranza. Non ci sarebbe niente di male, ma al primo risultato negativo tutti si scandalizzano, in questo modo non si permette ad un ragazzo di crescere. Proprio ora, che l’età media nel tennis mondiale si sta via via alzando.”

E non è tutto qui, Golding ha parlato anche di problemi di natura tecnica. “Fino a quando non ero il campione dello U.S. Open giocavo in maniera molto più libera, da quel momento in poi tutti hanno avuto da dire sulla mia impostazione e così sono diventato un tennista più regolare, ma ho perso quel tocco che prima mi permetteva di giocare il mio tennis.” Senza dimenticare le ultime disposizioni della LTA che hanno fatto naufragare ogni velleità di un immediato ripensamento “Non ho mai capito perché abbiano deciso di punto in bianco di chiudere il programma di “High performance” al centro nazionale – sito a Roehampton. Era un’ottima opportunità per noi, un posto dove allenarsi, peraltro distante per me solo un quarto d’ora da casa, e dove ci potevamo avvalere di strutture all’avanguardia. Ora tutto questo non c’è più, per accedere dovremmo pagare, ma non ce lo possiamo chiaramente permettere.” Il lato economico è sempre importante, quando a parlare è un tennista che cerca di emergere dal mondo degli ITF. “Con la decisione di abolire i contributi ai giocatori che non conseguono determinati obiettivi a livello futures, la situazione è drasticamente compromessa. Ricordo quando mi capitò di giocare un torneo in cui dovevo partire dalle qualificazioni: in singolare venni sconfitto al secondo turno del tabellone principale, mentre in doppio raggiunsi la semifinale. Dovetti quindi stare al circolo da un giovedì al giovedì successivo, e, pagate le tasse, il mio montepremi si aggirava attorno agli 88 euro!”.

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In Gran Bretagna la discussione è piuttosto accesa, non mancano pareri discorsi rispetto a quello di Golding, per esempio Heather Watson, che non vuole assolutamente nascondersi dicendo che “molti ragazzi con cui sono cresciuta pensano che essere tennista sia solo una fortuna, te ne vai in giro, giochi qualche partita, esci con qualche ragazza, ma non è così che si diventa un professionista”. E Oliver, indirettamente, non accetta tali accuse “Sono tutte generalizzazioni, ognuno di noi è diverso, io posso parlare solo per me stesso: sono sempre stato affamato di vittorie, e quando perdevo sembrava che il mondo mi crollasse addosso. Ho dato tutto per 6-7 anni, viaggiando per più della metà della stagione, ma quando ho capito di non averne più, ho preferito essere onesto ed ammetterlo esplicitamente, anche nei confronti dei miei sponsor

L’ormai 21enne britannico non è assolutamente uno sprovveduto, sa esprimersi bene ed appare a suo agio quando deve enunciare qualche concetto, sicuro retaggio delle sue performance giovanili come attore, sia televisivo che teatrale. L’analisi che fa del tennis britannico non è passata inosservata, tanto da essere giunta all’orecchio del suo “nemico” Downey, che non avrebbe scartato l’ipotesi di ingaggiarlo nell’ottica di rivestire qualche ruolo nei ranghi federali. “Siamo ricchi, noi britannici, ma le strutture non sono all’altezza. E non è solo colpa di Downey o di Brett, se i club europei sono molto più attenti alle esigenze dei giovani giocatori: qui interessa il denaro, se si può cedere il campo per un’ora a 27 sterline, qual è il vantaggio di lasciarlo disponibile gratuitamente ad un ragazzino? E poi tutti i campi sono in erba sintetica oppure in macadam, superfici non omologate dalle federazioni internazionali. Il motivo è semplice: costi d’installazione e mantenimento vicini allo zero, senza dimenticare che sono i campi in cui è cresciuta la vecchia generazione, che non ha nessuna intenzione di cambiare. Solo che è difficile giocare oltre tre-quattro scambi, per cui se qualcuno si domandasse ancora come mai non esce nessuno dalla Gran Bretagna, qui c’è parte della risposta.

La situazione risulta piuttosto chiara, Oliver non nega che affogare le velleità di professionismo, aiutando temporaneamente la madre nella sua attività di coach, sia per il momento la scelta migliore “Il vero dramma è che non stavo giocando il peggior tennis della mia vita, ma la mia testa era assolutamente confusa, e, quando sei là fuori, e giochi con gente più fresca, non sei tu quello che si porta a casa la partita, se ti trovi sul 5-5 del terzo set.” Non un riferimento a caso, considerando che le sue ultime tre sconfitte sul circuito, giunte nel mese di luglio, tra ITF e challenger, si sono concretizzate al parziale decisivo, dopo aver vinto il primo; ed in due casi per 7-5. Questa è la storia di Oliver Golding, omonimo dell’autore premio Nobel William, noto ai più per il libro “Il Signore delle Mosche”.

Nell’opera, risalente alla metà dello scorso secolo, un gruppo di giovani, in un contesto distopico, si ritrova abbandonato a sé stesso, in un luogo completamento isolato da quella che è la società come da noi considerata. No, non ha anticipato quello che sarebbe potuto accadere a Golding, Morgan, Meehan e compagnia, praticamente diseredati dalla LTA, quando della federazione forse avevano più bisogno, anche se qualche similitudine c’è, perché William era l’autore de “Il Signore delle mosche”, Oliver si è invece ritrovato con un pugno di mosche in mano.

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