A tu per tu con… Vincenzo Martucci

Vincenzo Martucci

di Federico Mariani

E’ stata una chiacchierata piacevole, interessante, sicuramente stimolante con uno dei personaggi di spicco tra gli addetti ai lavori del nostro sport.

Perché il tennis? Come ti sei avvicinato a questa disciplina?

Come molti, in principio ho provato a diventare un campione, ho fatto tutti i corsi del CONI, mi impegnavo tanto, ma non avevo il talento per cui mi sono dovuto fermare presto. Da appassionato, però, ho sempre amato Panatta, mi imbucavo al Foro Italico per i suoi incontri, non ho tirato monetine in campo ma insomma ero uno di quelli che c’era durante le sue imprese.

Come sei riuscito ad entrare in Gazzetta?

E’ una storia particolare, quasi da film. Erano gli anni ’80 ed io al tempo collaboravo (rigorosamente gratis) col Corriere della Sera, mi occupavo di calcio, in particolar modo della Lazio. Quando scoppiò il primo scandalo di calcioscommesse, in cui era coinvolta la stessa Lazio, sono riuscito a scovare dove si nascondeva tale Montesi, soggetto che sarebbe stato sentito di lì a poco dalla magistratura e che la Lazio voleva tenere nascosto. Ero riuscito nell’impresa “pedinando” la madre e l’indomani, quando capirono che ero stato io a scoprirlo, fui preso a calci e pugni da un suo amico. Quest’occasione mi fece notare dal direttore della Gazzetta che disse di non poter permettersi di farsi sfuggire uno con la mia intraprendenza promettendomi un’offerta non appena si fosse liberato un posto in redazione. Da lì ad un anno il posto si liberò e fui chiamato. Agli inizi, però, non mi occupai subito di tennis, anzi ero stato assunto per il calcio, ma il mio primo impiego fu al basket (altro sport praticato con scarso successo). Dopodiché Rino Tommasi lasciò la Gazzetta per andare a Canale 5 e nessuno ebbe il coraggio di occuparsi del tennis in quanto la figura di Rino era assai scomoda, con la sua autorevolezza ed il suo essere anche burbero. Io, invece, fui in grado di farmi accettare da Tommasi per le mie qualità, la mia voglia e le mie conoscenze e pian piano sono riuscito a guadagnare i miei spazi e fare la mia carriera.

Pensi che i giornali ed i mass-media diano il giusto spazio al tennis?

Innanzitutto, credo che oggi rispetto al passato il tennis abbia guadagnato uno spazio maggiore tra i cosiddetti “sport vari”. Alla Gazzetta, ad esempio, in primo piano c’è il calcio ovviamente, seguito a ruota dall’automobilismo, principalmente per la Ferrari ed il ciclismo grazie al Giro d’Italia, e poi ci sono gli sport vari. Quando io arrivai in Gazzetta, nel 1981, al primo posto tra gli altri sport c’era il basket, seguito dal nuoto, dalla scherma e via via fino ad arrivare al tennis che era di fatto ultimo nelle gerarchie. Adesso il tennis, invece, occupa la prima posizione grazie soprattutto all’attenzione del pubblico alimentata dai grandi campioni del recente passato, ma anche del presente come la fantastica rivalità tra Federer e Nadal che stiamo vivendo proprio ora. In tutto questo, per fare il definitivo salto di qualità, manca forse il campione a livello maschile, quello che per intenderci fu Panatta. Come è stato, ad esempio, nello sci con Tomba o nel motociclismo con Valentino Rossi, questi sono personaggi-traino che aiuterebbero moltissimo ad esaltare la visibilità del tennis. Credo comunque, in definitiva, che si potrebbe dare più spazio al tennis e me lo auguro.

Proprio in relazione al campione maschile che manca, è inevitabile una domanda su Fognini e sulla sua ultima uscita a Shanghai.

Riguardo Fognini dico subito che sono accusato da tutti i miei followers di essere troppo “difensivista” e morbido nei suoi confronti. Detto questo, personalmente noto più la frustrazione che lo coglie nel non riuscire a realizzare appieno il suo talento e le sue aspirazioni, che non nel vedere la reazione in sé che ritengo essere una reazione più umorale ed istintiva, che comunque denota l’esistenza di un carattere ben definito ed un orgoglio, cosa che in passato è mancata ad alcuni protagonisti anche del tennis azzurro. Preferisco avere una persona evidente nelle sue reazioni, sanguigna ed a volte anche eccessiva, che non un freddo che fa trapelare poco o nulla. Dopodiché è palese che Fognini sbaglia, così come è evidente che sta facendo del male a se stesso ed, indirettamente, anche all’immagine del tennis italiano. Io spero sempre che metta la testa a posto, anche se ormai il tempo passa e quest’annata l’ha persa ed è un peccato perché dopo quello che aveva fatto l’anno scorso, oggi poteva essere stabilmente tra i primi dieci.

Qual è il personaggio più interessante che hai avuto la fortuna di intervistare? E qual è invece l’intervista che avresti voluto tanto fare ma che, fino ad ora, non sei riuscito?

Il personaggio che più mi piacerebbe intervistare è Steffi Graff. E’ quella che negli anni meno sono riuscito a “prendere” per una serie di circostanze, anche dipendenti dal fatto che lei è sempre stata timidissima, molto restìa alle interviste, ancora di più ora perché il discorso cade sempre su suo marito Agassi. Per il resto mi ritengo fortunato, e con me la Gazzetta, perché in questi anni sono riuscito a trovarmi di fronte più o meno tutti i campionissimi. Mi viene in mente Stefan Edberg che ebbi la fortuna di essere il primo ed unico ad intervistare dopo la sua vittoria a Wimbledon a casa di Ferrero (non Juan Carlos, quello del cioccolato) grazie all’intercessione del mio amico Gianni Ocleppo. Così come è successo con Borg nel suo sciagurato ritorno alle gare a Montecarlo, io fui il primo ed unico al mondo a scambiare qualche parola con lui prima che scendesse in campo, grazie soprattutto all’aiuto di Panatta. Anche con Boris Becker feci un’intervista esclusiva in occasione dei Telegatti a Milano, in macchina nel tragitto dalla sede Mediaset all’aeroporto. E lo stesso vale per molte meravigliose interviste con Federer, Nadal, Laver, Djokovic. Tra questi, però, quella che più mi ha affascinato è stata Martina Navratilova perché, a differenza di altri che sono riuscito a capire più o meno bene, lei ha molte sfaccettature che andrebbero analizzate ed approfondite: lei è una persona straordinaria, con una storia straordinaria alle spalle e credo che sia la tennista più forte che abbia mai visto. Inoltre, ha fatto e sta facendo tanto anche dal punto di vista sociale e culturale. E’ una donna fantastica.

martucci interno

Qual è il campione (di oggi o di ieri) al quale sei più legato?

Sono molto legato a Boris Becker perché quando io cominciavo a viaggiare per la Gazzetta nel 1985, lui trionfava a Wimbledon e rimasi immediatamente affascinato da questo ragazzo di 17 anni , dal suo modo di essere personaggio, da come giocava un tennis ultra-offensivo e lo sentivo molto vicino a me. Dopodiché, purtroppo, come uomo un po’ mi ha deluso per quello che poi è stata la sua vita. Conoscerlo come essere umano e non più solo come campione non è stato esaltante, ma molto spesso capita che dietro un campionissimo non si celi un grande uomo. Tra i contemporanei, invece, a livello umano dico Nadal, mentre a livello tecnico Federer è e resterà inarrivabile.

Ricollegandosi proprio a Becker, ora si riscontra questa tendenza in molti giocatori di vertice di affidarsi a campioni del passato in qualità di coach. Lendl con Murray ha aperto la strada, poi sono arrivate le coppie Becker-Djokovic, Edberg-Federer, Chang-Nishikori fino ad arrivare a Ivanisevic-Cilic. Pensi che siano scelte giuste o che sia semplicemente una moda passeggera?

Onestamente ero molto perplesso in principio e credevo che si trattasse di una questione di facciata. Poi, però, vedo dai risultati che questo sta funzionando. Ad esempio, Djokovic se non avesse avuto quella cosina in più da Becker forse non avrebbe vinto l’ultimo Wimbledon. Murray non avrebbe portato a casa due Slam senza Lendl, così come Cilic non si sarebbe sicuramente imposto a New York se non ci fosse stato Ivanisevic. Non credo, ovviamente, che i giocatori di vertice debbano per forza avere un coach che abbia fatto almeno una finale Slam, però è altrettanto vero che a quel livello non si può insegnare niente ai giocatori se non regalare alcuni accorgimenti psicologici che potrebbero fare la differenza.

Perché secondo te, nonostante il consolidato e clamoroso successo del Foro Italico, in Italia continuiamo ad avere solo e soltanto Roma?

Perché costa troppo. Mi spiego meglio, gli investimenti che deve fare un imprenditore sono troppo a rischio. Ad esempio, io sono vicino ad Ernesto de Filippis (l’uomo che sta organizzando la “Grande Sfida” di Milano con McEnroe, Lendl, Chang ed Ivanisevic) in qualità di consulente mi accorgo che, malgrado ci sia un grande lavoro dietro di ricerca e promozione, alla fine il ritorno economico non è eccezionale, gli sponsor latitano ed il pubblico non è straordinario. In Italia gli enti pubblici, come le regioni ed i comuni, non intervengono più, perché non hanno i fondi necessari e per gli investitori privati diventa veramente difficile trovare le risorse necessarie per mettere in piedi un evento del genere. Purtroppo in queste condizioni il gioco non vale la candela e la colpa, a mio giudizio, va imputata a noi italiani perché siamo sempre quelli che vogliono il biglietto omaggio, cerchiamo di ottenere il massimo col minimo sforzo, abbiamo poca cultura sportiva. Sarebbe bello se tutti si mettessero attorno ad un tavolo per discutere questo problema e, magari, decidere di partire da un torneo anche minore per farlo poi crescere, perchéun solo torneo adesso è troppo poco, basti pensare che prima erano addirittura nove.

 

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