Alice Moroni: “Mio figlio giocherà a tennis?”


(Alice Moroni – Foto Nizegorodcew)
di Mario Polidori
Non conoscevo Alice, se non per averla vista allenarsi in Accademia, da Vavassori, e non ho mai avuto il piacere di vederla giocare in match.
E sono contento di aver avuto questa occasione per conoscerla da vicino.
Classe 91, nata a Bergamo, vive a Nembro, con la sua famiglia e si allena a Palazzolo sull’Oglio, da Renato Vavassori, seguita da Mauro Pezzi, che è il responsabile del settore femminile, nonché coach di Giulia Remondina.
Quando sono arrivato all’appuntamento stava studiando, approfittando della pausa pranzo.
Si è avvicinata a me, con apparente timidezza, ma non è una ragazza timida, è soltanto riservata, curiosa, molto attenta e critica rispetto a ciò che le si propone, gentile e disponibile, anche al gioco, ma al tempo stesso selettiva, attenta e molto intelligente.
Nel raccontarmi la sua storia, ho potuto raccogliere sia la sensibilità tipica delle persone che vivono di emozioni, sia la maturità per comprendere l’importanza di un percorso, fatto di sacrifici e tanta fatica, e soprattutto rinunce.
Ma sentiamo cosa ci racconta.
“Fino a 5 anni facevo danza, e mi piaceva moltissimo e sognavo di diventare un’etoile, nonostante fossi decisamente grassottella e già si capiva che sarei diventata alta. Diciamo che non avevo il fisico giusto, ed il 1,80 m di oggi, anche se in forma, lo conferma.
Era il sogno di una bimba, dettato dalla passione.
A 5 anni e mezzo papà mi portò al tennis, in un circolo di Nembro, dove viviamo, per farmi iniziare a giocare.
A me la cosa non mi interessava granché, era papà l’appassionato cronico, diceva che sarei diventata una tennista quando ancora ero nel pancione di mamma! ☺ .
Il maestro era Gigi Leoni, grande appassionato anche lui, con cui è iniziata la mia avventura tennistica.
Non ci volle molto tempo per stabilire che avevo una buona predisposizione, che avevo delle potenzialità, per la gioia di papà, e diventò anche la molla che mi spinse a continuare e che fece appassionare anche me.
Essere brave nel fare qualcosa può sempre essere un buon motivo per farla, poi questo sport ha fatto il resto.
Ho iniziato giocando una volta a settimana, poi due volte, poi tre, fino a giocare tutti i giorni, già dai 6/7 anni.
Giocavo e basta, appena c’era un campo libero giocavo, non c’era una programmazione specifica, non facevo una preparazione atletica da professionista.
I risultati arrivavano, le soddisfazioni pure, ma le pressioni anche.
Gigi Leoni aveva modi bruschi, ma era un gran motivatore, e tra di noi era venuto fuori un rapporto molto stretto, di grande familiarità, mi trovavo bene, mi ha seguita fino ai 18 anni.
Quello che pressava di più era papà, soprattutto nei tornei, ed a 13/14 anni era diventato un problema, mi metteva ansia, e decisi di chiedergli di staccarsi da me, per stare più tranquilla, di non occuparsi più del mio tennis.
Lui accettò senza problemi, pur dispiacendosi di non potermi più seguire, per un appassionato come lui non deve essere stato per niente facile, ma non fece discussioni.
I miei genitori non sono ex sportivi, lavorano come impiegati, e tutto quello che stava succedendo, li coglieva impreparati.
E così continuai la mia strada con Gigi, che era ormai diventato come un secondo padre.
La struttura era piccola, Gigi aveva da seguire tutta la scuola, ma questo mi ha permesso comunque di entrare in ranking a 15 anni, nel 2006 ero n°849.
Da quel momento sono cresciuta di anno in anno, fino al mio best ranking, 377 a 18 anni, il 21 settembre del 2009, anno che poi ho concluso al n° 423.

Ho lasciato anche la scuola dopo la prima liceo, perché tutti avevamo ritenuto di investire completamente nel tennis, avremmo pensato dopo a recuperare.
Adesso, infatti, sono tornata a studiare, per rimettermi in linea, e non precludermi altre possibilità.
Per la verità, quando l’ho lasciata ero contenta, chi non lo farebbe a 15 anni, la scuola non è divertente, ma poi sono stata io a chiedere a mia madre di riprenderla.

Dicevo…. ad un certo punto, però, il circolo di Nembro non era più sufficiente, non avevo atleti con cui giocare per crescere ed avevo bisogno dell’accompagnamento ai tornei, cosa che Gigi, per i suoi impegni, non poteva fare.
Questi problemi non mi hanno permesso di programmarmi come si deve e nel 2010 sono scesa all’attuale 708.
Stava diventando un problema, se volevo andare avanti bisognava cambiare.
Sono sempre stata amica di Giulia Remondina, ed è stata lei che mi ha consigliato di provare da Vavassori, dove lei si allena.
L’Accademia è a mezz’ora di macchina da casa mia, è stata la soluzione.
La possibilità di restare vicino casa, con i miei punti di riferimento, sia prima a Nembro che poi a Palazzolo, erano e sono per me determinanti, non mi sarei mai trasferita in giro per il mondo, almeno non fino ad adesso, e non in tenera età.
Più avanti, da adulta, magari sì, senza problemi, ma finora non l’avrei mai fatto.
Adesso sto bene, la strada è quella giusta, ho molta più continuità negli allenamenti ed una programmazione che non ho mai avuto prima.
Ma devo assolutamente cambiare il modo di affrontare le partite, altrimenti le mie potenzialità restano inespresse.
Sono ansiosa, penso troppo al risultato, e perdo di vista l’obiettivo, e soprattutto la concentrazione, vado in pressione da sola.
E di questo devono fare ammenda sia papà che il mio allenatore, non certo per cattiveria da parte loro, s’intende, ma è un guaio che mi hanno procurato.
Sistemato questo, posso andare dritta per la mia strada, ma non ho il sogno di diventare la numero uno, al massimo potrei considerare come obiettivo quello di entrare nelle 100, che sarebbe per me il coronamento del mio successo.
E’ curioso, nella danza, avevo il sogno di diventare una stella, e non avevo il fisico, nel tennis invece non faccio gli stessi sogni, e non c’entra il fisico ☺.”

Questa è Alice Moroni, raccontata con la sua penna.
Quando abbiamo concluso e stavamo per salutarci mi ha detto:
Mio figlio non lo farò mai giocare a tennis, perché è uno sport bellissimo, che ti fa maturare in fretta, ma ti toglie troppe cose, ti fa rinunciare a troppe cose che invece sarebbe giusto vivere, ti costringe a stare fuori dalla normalità.”
Ed io, stuzzicato, le ho chiesto:
“Stare nella normalità quando hai le qualità di un campione, potrebbe farti vivere in un mondo che non ti appartiene, potresti essere troppo diverso da quella normalità. Andarti a cercare i tuoi simili in un percorso come questo, potrebbe essere invece l’unico modo che hai per incontrare e vivere ciò che è giusto per te. Non credi?”
“Sì, forse è vero, hai ragione. Magari, da grande, cambierò idea.”
Grazie Alice.
In bocca al lupo per tutto.

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