Diego Veronelli e una vittoria inattesa..

Diego Veronelli è un ragazzo che capisce di tennis… e anche molto. La sua carriera è stata piuttosto sfortunata, poiché ogni volta che stava per entrare nei 100, veniva colpito da qualche infortunio di non lieve entità. Diego gioca le competizioni a squadre in Europa (in Italia è sceso in campo per l’Empire) e il suo futuro, probabilmente, sarà nel mondo del tennis. In maniera del tutto inaspettata, il trentenne argentino ha partecipato alla vittoria della World Team Cup di Dusseldorf, durante la quale ne sono successe un po’ di tutti i colori… Questa intervista esclusiva spazia a 360° sulla vita di Diego e sul tennis in generale. Da non perdere…
Diego Veronelli
(Diego Veronelli – Foto Nizegorodcew)

di Alessandro Nizegorodcew
Parliamo di World Team Cup di Dusseldorf che la tua Argentina ha vinto in finale sugli Stati Uniti. Quando hai saputo che saresti stato convocato?
“Ho ricevuto un messaggio di Luis Lobo (coach di Monaco) sabato mattina, ero in Francia dove dovevo giocare la domenica una partita di interclubs. Lobo mi ha detto che Monaco stava pensando di portarmi a Dusseldorf come quarto giocatore, visto che Nalbandian era infortunato e gli altri giocatori argentini stavano disputando l’ATP di Nizza o le qualificazioni del Roland Garros. Non ho neanche chiesto quanti soldi mi davano, ho accettato senza rifletterci un secondo appena ho finito di parlare con Monaco.”
Hai fatto molto “gruppo” e anche grazie a te avete creato un ottimo spirito di squadra. Quanto è importante per voi giocatori che fate sempre tornei individuali poter giocare questo tipo di competizioni a squadre e stare anche tra voi argentini?
“E’ vero, ho un ottimo rapporto con tutti i giocatori del circuito; tutti sono stati miei compagni in diversi momenti, sia in tornei, che condividendo allenatori di tennis o preparatori fisici. Con alcuni sono molto amico, come con Monaco, Zeballos e Schwank; quindi sono stati molto contenti di accogliermi nella squadra. Sono una persona allegra e attualmente non competo con loro, quindi quando mi hanno visto arrivare a Dusseldorf, si è creato un clima di amicizia e di divertimento negli allenamenti e nei pranzi di squadra; allo stesso tempo, molta unione affinché l’Argentina potesse vincere la manifestazione. Andavamo tutti a vedere le partite; prima che qualcuno gicasse il singolo o il doppio, il resto dell’equipe (giocatori e allenatori) si incontava nello spogliatoio a cantare canzoni che cantano nello stadio di calcio in Argentina, ma cambiavamo il nome con quello del giocatore che doveva entrare in campo. Il giocatore entrava motivatissimo e con il cuore a mille. Quei momenti sono stati i migliori di tutta la settimana. E giocare in squadra è molto più divertente, c’è meno pressione però anche più responsabilità, uno non può fare quello che vuole, ma bisogna fare sempre ciò che è meglio per la squadra. E in quanto ad andare a rappresentare l’Argentina, è un onore. Mi ha fatto molto piacere che mi sia giunta questa opportunità a 30 anni, l’ho preso come un riconoscimento alla mia carriera e ai miei anni nel circuito. Aver vinto il trofeo e restare nella storia del tennis argentino non me lo toglierà nessuno.”
Raccontami l’emozione di aver giocato il doppio in finale..
“Dopo il trionfo di Zeballos su Ginepri, in un primo momento sono stato invaso dalla felicità, però via via che passavano i minuti, ho iniziato a sentire i nervi nello stomaco, perché sapevo che con la serie definita, andavo a giocare io. Ed erano mesi che non giocavo una partita nel circuito professionistico e mi toccava entrare niente meno che contro i Bryan, con cui alcuni minuti prima avevamo avuto una discussione nello spogliatoio. Inoltre c’era in palio un premio extra per la vittoria del doppio in finale, così che nonostante l’Argentina fosse campione, i Bryan avrebbero giocato al 100%. Ho cercato di approfittarne al massimo, e se non ne ho approfittato ancora di più è stato perché il livello di questi due extraterrestri non me lo ha permesso. Sentivo che avevano una risposta per ogni mio miglior colpo, compresi quelli del mio compagno Schwank, attuale 57 del mondo. Ma ho apprezzato molto il professionismo e la serietà dei nostir rivali, che sapendosi molto superiori hanno comunque giocato al 100% e in nessun momento ci hanno mancato di rispetto; al contrario, hanno preso la partita come fosse una finale.”
Argentina
(Monaco, Zeballos, Schwank e Veronelli)

Cosa è successo negli spogliatoi con i fratelli Bryan?
“Il problema con uno dei due Bryan è stato qualcosa di molto strano. Perché come ho già raccontato, prima di ciascuna partita ci radunavamo per cantare nello spogliatoio per motivare i giocatori che dovevano entrare in campo. Dopo il trionfo di Monaco e quando Zeballos era sul punto di entrare in campo… durante i cori, è apparso uno dei Bryan (non abbiamo mai saputo quale dei due fosse, sono esattamente uguali) e con un sorriso, ci ha chiesto di abbassare il volume. Abbiamo spesso di cantare immediatamente per non creare problemi. Subito dopo siamo andati allo stadio a vedere il singolo di Zeballos, mentre loro sono rimasti nel lo spogliatoio con Monaco, che era rimasto lì per a fare stretching e un massaggio; era presente anche il suo allenatore, Luise Lobo. Lì uno dei due Bryan ha rimproverato duramente il nostro capitano, Luis Lobo, dicendogli che non potevamo fare quel chiasso nello spogliatoio, che a pochi metri c’era Querrey che aveva appena perso la partita, e che non eravamo nessuno per gridare in quel modo. Lobo gli ha risposto che era solo per animare Zeballos e non per infastidirli. Uno dei due fratelli ho continuato a rimproverare Lobo, cosa che ha fatto reagire il nostro capitano dicendo che doveva smettere di insultarlo, ma Bryan continuava imperterrito ed hanno dovuto separarli perché sarebbe potuto finire molto male. Si sono limitati solo agli insulti. Quando ce lo hanno raccontato non ci potevamo credere. Ci siamo detti: Meglio vincere questo singolo altrimenti siamo perduti!!!! Ahahah. Dopo aver vinto, abbiamo cominciato a scherzare con Lobo, che continuava ad essere molto seccato per gli insulti di uno dei fratelli. Ed abbiamo cominciato a fargli uno scherzo. Gli abbiamo fatto credere che uno dei due gemelli fosse venuto a scusarsi. Però che l’altro aveva detto che dopo la partita lo voleva vedere fuori dal club. E Lobo continuava ad infuriarsi sempre di più, voleva andare a chiarire il problema per chiuderlo, però no sapeva a quale dei due fratelli rivolgersi. Gli dicevamo, guarda se vai a parlare con quello che ti vuole menare… o guarda se vai e le dai a quello che si è scusato??? Alla fine non è successo niente, è finito il doppio e tutto è rimasto in pace ed armonia, non si è più parlato del tema.”
Tu adesso non giochi più tornei individuali ma solo gare a squadre? a causa degli infortuni?
“Alla fine del 2009 ho deciso che non avrei fatto più tornei a meno che non avessi risolto ogni problema fisico. Le lesioni (di vario tipo) sono state un problema grosso nella mia carriera e mi hanno danneggiato molto sia per il tennis che per il mio stato d’animo. Ho sempre sentito che dentro di me avevo il livello e la voglia per essere un giocatore tra i primi 100 del mondo, ma la mia carriera è stata colpita da una serie di infortuni al polso e alla spalla e non c’è stato molto da fare. Sono dovuto ripartire da zero tante di quelle volte… Ricominciare nei tornei piccoli, risalendo a poco a poco, investire denaro in allenatori, viaggi, ma vi è sempre stato qualche importante intoppo. Non ho mai pensato di lasciare il tennis, amo questo sport; nella mia testa ero disposto ad alzarmi e ricadere tante volte quante fossero state necessarie per raggiungere il mio obiettivo. Però a 30 anni cambia la prospettiva della vita, così come il corpo, e ci si comincia a rendere conto che uno non lascia il tennis, ma che il tennis comincia a lasciare te. Ci sono giocatori che continuano fino a 33 o 35 anni; questo dipende da ciascun corpo. Il mio corpo dice che giocare 5 partite alla settimana, per 3 ore, e tutte le settimane dell’anno, più i viaggi, non era più possibile, non lo potevo fare più. Giocavo un buon torneo, arrivando in semifinale o in finale…. e avevo tendiniti al ginocchio per un mese. Se già era difficile da sano, figurati com’è giocare infortunato e con il dolore. Così so che per il momento, giocando gare a squadre in Francia, Germania, Italia, gioco 1 partita, al massimo 2 la settimana ed è qualcosa che il mio corpo può sopportare senza problemi. Per il momento sto benissimo, senza dolore. Ho tantissima voglia di tornare a giocare tornei… Adesso vedremo cosa mi dice il cuore.”
Diego Veronelli
(Diego Veronelli – Foto Nizegorodcew)

Su Spazio Tennis, come sai, si parla molto del rapporto tra i genitori e i figli e del rapporto tra i genitori dei tennisti e i coach. Qual è stata la tua esperienza? Sono stati importanti i tuoi genitori per la tua crescita come tennista? E il rapporto allenatore – genitore come deve essere?
“La mia esperienza in questo senso è stata molto buona. Mio padre mi incentivava già da piccolo a che giocassi a tennis, non mi spingeva, o mi spingeva a modo suo. Però mi rendo conto solo ora che sono adulto di come lo abbia fatto davvero bene. Mi diceva sempre che dovevo fare qualche attività, che non potevo andare solo a scuola e poi giocare tutto il giorno con il computer. Così ho iniziato a giocare a tennis. Però chiaramente, mentre i miei amici giocavano a calcio, o giocavano con il computer, io giocavo a tennis. C’erano periodi che non avevo voglia di andare a tennis o avevo voglia di fare altre cose. E mio padre diceva che non c’erano problemi: “Non vuoi andare a tennis? Ho un professore di piano e uno di inglese… 3 volte a settimana vai a suonare il piano e le altre due vai a prendere lezioni di inglese… però qualcosa devi fare”. Io immediatamente optavo di nuovo per il tennis. Adesso capisco quanto sia stato furbo mio padre. Non me lo diceva direttamente, però voleva che giocassi a tennis e mi conosceva sufficientemente per sapere che mai avrei preferito le lezioni di piano e di inglese al tennis. Però non tutti i padri erano così. Altri pressavano i loro figli direttamente o li rimproveravano in pubblico quando perdevano una partita, ho visto cose condannabili durante gli anni e sicuramente questi bambini non sono stati così felici come lo sono stato io. Ma ogni famiglia è differente. Penso che il padre deve dedicarsi a essere padre, ad appoggiare suo figlio incondizionatamente, lasciando quello che si riferisce al tennis in mano al suo allenatore, l’allenature che lui sceglie affinché formi suo figlio. Questa è una decisione importante, perché quell’allenatore a volte finisce per essere molto importante nel futuro del figlio; lo formerà come tennista ed anche come persona. Il rapporto di un padre con il suo allenatore deve essere questo e il padre non deve intromettersi nelle decisioni dell’allenatore. Nel momento in cui inizi a non fidarsi, può sempre sceglierne un altro. Però se alle spalle dell’allenatore da consigli sul tennis al bambino, o gli da altri messaggi, finiscono per confonderlo. Il ragazzo alla fine dovrà mettersi nella scomoda situazione di scegliere chi seguire, se a suo padre o il suo allenatore.”
Cosa vuoi fare quando smetterai? Ti piacerebbe allenare?
“Quando smetterò di giocare, mi piacerebbe fare moltissime cose. Il tennis è uno sport che esige che ci si dedichi in maniera totale; perfino nei momenti liberi devi pensare a riposarti, farti i massaggi, pensare alle cose per la tua carriera. Puoi solo leggere e fare altre cose che non richiedano sforzo fisico. Ora ho molta voglia di fare nuove e diverse esperienza diverse dal tennis. Vorrei prendere lezioni di boxe, di cucina e imparare alcune lingue. Però se parliamo di guadagnarmi la vita, credo che molto probabilmente rimarrò nel mondo del tennis. Mi hanno fatto alcune offerte per fare l’allenatore e mi piacerebbe avere un mio club di tennis per organizzare un gran progetto per formare giocatori, con tutta la tecnologia e gli aiuti professionali disponibili, come ci sono in paesi più avanzati come la Francia, gli Stati Uniti, l’Australia. Mi piacerebbe organizzare qualcosa del genere in Argentina. Vedremo presto come andranno le cose, potrei anche fare il manager. Oggi ripenso ancora alla vittoria di Dusseldorf.. un dolce pensiero che non mi abbandonerà mai.”
Grazie Diego, è sempre un piacere parlare con te.
“Grazie a tutti voi. Un abbraccio a tutti..”

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